Anja



L’oscurità è una coperta sudata in un giorno caldo di giugno. Vladimir è chiuso in casa da 3 giorni. Mangia fragole e vino. Patatine e birra. Suda. Fuma. Nel posacenere, come morti d’una guerra, stanno i suoi filtri spappolati, arrivati all’osso del tabacco.

Vladimir beve un caffè, sono le 4 del pomeriggio ma per lui potrebbe essere qualsiasi ora del giorno e della notte. Quest’estate è un tarlo che gli consuma il cuore. Pensieri che non trovano pace, tornado di immagini che non lo lasciano stare. Quest’estate è una melodia che insegue al pianoforte, continuamente. Una musica che segue ma che non trova. Si sente come un bambino perso in una foresta. I tasti neri e bianchi sono il suo sudario. Vladimir che ha 39 anni, un diploma in conservatorio in composizione. Vladimir che fin da quando ha 4 anni prova a essere quello che è muovendo le dita così come i monaci si mettono a mani giunte per pregare. Il suo bacio è l’aria che diventa leggera tutto d’un tratto. Il do diesis che da inizio alla sua sinfonia. 3 mesi di delirio e amore mischiati insieme. Vladimir è stanco, Vladimir non può fare a meno di suonare. Ascoltare, scrivere sullo spartito. Registrare, riascoltare. Arrangiare al computer quelle 13000 note che lo mordono sulle mani mentre cerca loro una casa nel mondo.

Per l’inizio non c’è stato problema ma quello che manca è la fine. Negli ultimi 3 giorni ha deciso che forse la sua fine coinciderà con la fine della sua ricerca. Che la sinfonia perfetta accadrà. Vladimir fuma di nuovo. Questa volta mischia il tabacco con del fumo che si è comprato da un amico. L’ha pagato a peso d’oro. È introvabile a Pietroburgo. A Pietroburgo si trova solo marjiuana, cocaina e soprattutto eroina. Aveva provato tutte e tre le cose ma non funzionavano per quello che doveva fare. Lo allontanavano dalla pista, lui segugio senza guinzaglio se non quello della sua ossessione.

Vladimir aspira e suona. Rovescia il caffè sul pavimento. Lo pulisce con un piede nudo. Continua a suonare. Ogni cosa gli sembra sbagliata, anche le intuizioni dell’inizio. L’entusiasmo è un asino morto di fame e di sete, all’angolo di una strada di sassi.

Ha staccato anche il telefono. Non vuole sentire nessuno. Tanto meno sua madre, che lo chiama una volta al giorno. Da quando si è trasferito in questo minuscolo appartamento. Da Kiev a Pietroburgo. Da 170 metri quadrati di casa signorile ad appartamento mal arredato di 36 metri quadrati. Si sente in gabbia eppure continua a suonare. Non apre le finestre. Suda. Suda Vladimir tutta la musica che occorre.

È il mio momento, ha pensato spesso in questi 5 mesi, da quando quel regista di Parigi gli ha commissionato il lavoro. L’occasione perfetta per smettere di vivere nell’ombra, per creare nuove possibilità. Per ora l’ombra se l’è mangiato e lui si sente sul fondo di un pozzo. Incapace di uscirne. Senza appigli per risalire in superficie.

Cazzo! Cazzo! Cazzo!” urla Vladimir pestando un pugno sui tasti. Il suono è quello del suo cervello che va a schiantarsi a terra, dopo un volo dal quarto piano. “Così è una merda!” L’uomo si alza. È nudo. Va in bagno, si guarda nella penombra. Non si riconosce. Non si riconosce da anni. L’ultima volta è stato a 16 anni, prima che sua sorella morisse di leucemia. Prima che lui decidesse che avrebbe scritto per lei la miglior musica del mondo. Anja che stava diventando una donna. Anja di 3 anni più grande di lui. Anja e i suoi consigli speciali ai bordi del sonno. Anja e i suoi occhi pieni di stelle, quando suonava per lei. Gli sembra di sentirla, lì accanto a lui. Che cosa gli direbbe? Cos’è diventato? Vladimir vomita. Poi beve altro caffè per togliersi quel gusto acido dalla bocca. Fuma, sdraiato sul letto di metallo.

Vladimir chiude gli occhi. Da quanto non dorme? Le note appaiono dietro i suoi occhi chiusi. Sono una danza macabra, vengono a reclamare le sue ultime energie. Vladimir sparisce almeno per un po’. Non c’è più pozzo, né pianoforte. Solo galleggia in mezzo al fango.

In quel momento sente qualcosa posarsi sulla sua fronte. Una zanzara, pensa. La scaccia con la mano. Gli viene in mente Mozart, non sa perché. Wolfang seduto al suo clavicembalo che improvvisa un capolavoro. Si ricorda ancora quando suo padre gli aveva preso la mano, a Salisburgo, quando l’aveva portato a visitare il suo paese natale. Là in religioso silenzio, nella casa dov’era cresciuto.

Anche lui sarebbe voluto diventare così. Ma Anja era ancora viva. E anche lui lo era ancora, a quel tempo.

Il solletico alla fronte ritorna. Vladimir si alza a fatica. Caffé, sigaretta, accende la luce. É curioso. Forse di essere curioso non smetterà mai. Cerca con lo sguardo l’insetto o quello che è e la vede. Una farfalla bianca posata sul fa diesis basso del pianoforte. Si ricorda di sua nonna, di quando gli raccontava che le farfalle bianche erano le anime di chi ci aveva amato ed era morto, che tornava per un saluto.

Sei tu?” chiede Vladimir mentre le lacrime gli strappano la vista per un attimo. Nessuno risponde ma la farfalla si alza in volo e dal fa diesis si sposta al do. Vladimir singhiozza ma segue il movimento di quelle ali bianche, un regalo in quell’oscurità.

Fa diesis, do, fa diesis, mi bemolle. Poi quella che lui ormai chiama sorella, si alza in volo e si posa sul cuscino dove poco prima l’uomo poggiava la testa. Vladimir suona quelle tre note. E tutto viene di colpo. Tutto accade. Succede.

Le imposte si spalancano di colpo. Il sole entra prepotente nella stanza. La sinfonia prende avvio, prosegue, s’insegue e poi, finalmente, trova una chiusura in quelle tre note. Che si ripetono come il volo della farfalla.

Vladimir piange ma questa volta di gioia. Si alza. Apre per davvero le persiane e la luce gli ferisce gli occhi ma non importa. Lascia aperta la finestra e respira. Poi torna a sedersi e ricomincia a suonare. La farfalla gli passa davanti alle labbra, come per un ultimo bacio, poi esce nel cielo e scompare.


Racconto scritto durante gli incontri del collettivo INstabile di scrittura FUCINA OKAPI NARRANTE



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